Non è mia abitudine parlare di politica su questo blog e non lo farò nemmeno questa volta. Sapete bene che sono un indipendentista, che non sono schierato e che – ormai da diversi anni* – non ho nemmeno più una rappresentanza partitica.
La vicenda della cosidetta tagliola che ha decapitato il DDL Zan, dunque, è solo un pretesto per affrontare un argomento più ampio e più serio.
Lasciatemi fare un’introduzione che in apparenza non c’entra nulla con quanto in oggetto. Circa quindici anni fa, in occasione dei colloqui tenuti per scegliere i miei collaboratori (nel ruolo che oggi si definirebbe di business intelligence junior analyst), ho deciso di aggiungere una prova in più ai test che ero solito fare. Nello specifico proponevo un esercizio, molto semplice, che induceva volutamente il candidato a compiere un errore**. Lo scopo non era quello di valutare l’errore o la sua gravità, ma la reazione allo stesso, e – in ultima battuta – di discriminare tra chi tentava di giustificarsi (o addirittura di arrampicarsi sugli specchi) e chi invece ammetteva immediatamente lo sbaglio.
Questo perché sbagliare fa parte della vita, ma quello che fa la differenza è come si reagisce di fronte a un errore. Ammettere uno sbaglio, specie se pubblicamente, non è certamente facile, ma è – volenti o nolenti – condizione necessaria (sebbene non sufficiente) per automigliorarsi, oltre che per dare un’immagine positiva di sé stessi. Ammettere da sùbito l’errore innesca un circolo virtuoso – che col tempo diventa un automatismo – che ci porta a migliorare e a sbagliare molto meno in futuro.
Se dunque devo scegliermi un collaboratore voglio che, a parità di altre condizioni, possieda anche questa caratteristica.
Il primo passo di fronte a uno sbaglio è ammettere di aver sbagliato. Ciò crea la giusta consapevolezza necessaria a innescare quel processo di automiglioramento che è fondamentale in tutti i campi della vita (lavoro, scuola, relazioni sociali, … e anche politica).
Questo atteggiamento è esattamente ciò che “non” abbiamo visto nella vicenda della debacle al senato che ha portato all’affossamento (e dico per fortuna!) dello strampalato DDL Zan.
L’errore di strategia è stato lampante. Ridicolo, invece, il tentativo in stile sovietico di dare la colpa ad altri.
Si noti, e questo è l’elemento centrale di questo post, che non si è trattato di un caso isolato. Questo è un tipico modus operandi della sinistra. Non è il solo. E tra l’altro si somma ad altre caratteristiche profondamente negative di quell’area politica, a partire da quello che possiamo definire il loro complesso di (ovviamente ingiustificata) superiorità morale, superiorità che – come se non bastasse – li autorizza a trattare gli avversari politici con quella caratteristica spocchia che ben conosciamo.
E in tutto ciò, per entrare solo un attimo negli aspetti di politica spiccia, chi ne è uscito peggio è stato Enrico Letta, uomo che da qualche mese a questa parte sembra andare incontro a una trasformazione (o involuzione) da cui emerge ogni volta un peggio che sino a poco tempo fa non mi aspettavo nemmeno lontanamente. Sopratutto nell’impietoso confronto con l’opportunista Renzi, da cui il primo è però uscito pesantemente bastonato.
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* da quando, quasi dieci anni fa, quell’idiota di Salvini ha gettato la maschera e rinunciato alle sacrosante istanze secessioniste
** fornivo al candidato una tabella in Excel sui livelli di produzione mensile della forza vendita di un’ipotetica azienda. Immaginate i nomi dei venditori sulle righe, i mesi di un anno solare sulle colonne e i pezzi venduti nelle celle. Chiedevo al candidato di calcolare alcune funzioni statistiche banali; chiedevo di aggiungere a destra una colonna con la somma del venduto per singolo venditore e una successiva colonna con la media mese. Per quest’ultima davo la seguente indicazione: “non utilizzare la funzione media, ma costruisci la media a partire dalla somma”; quello che capitava è che il candidato facesse la somma e dividesse per 12. E qui nasceva l’errore. Alcuni venditori, infatti, avevano dati di vendita su tutti i mesi; altri avevano degli zeri in alcuni mesi, altri ancora non avevano celle popolate nei primi o negli ultimi mesi; si trattava di quelli che, rispettivamente, erano entrati in azienda dopo uno o due mesi rispetto all’inizio dell’anno e di quelli che avevano l’asciato l’azienda uno o due mesi prima della fine dell’anno. Trattare gli zeri e le celle vuote allo stesso modo genera ovviamente un errore: mentre gli zeri fanno media (il venditore era in organico all’azienda, ma quel mese non ha prodotto nulla), le celle vuote no (il venditore non era parte dell’organico dell’azienda); questo è esattamente ciò che fa la funzione media di Excel, ma è ciò che non facevano i candidati.
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