L’oca dalle uova d’oro

L’espressione “gallina dalle uova d’oro” è tra le locuzioni idiomatiche più note e diffuse (i politici, giusto per fare un esempio, vi fanno ricorso di continuo). Un concetto quasi identico (anche se il suo utilizzo è meno capillare) esiste anche nei Paesi di lingua inglese. Qui però non si parla di galline, ma di oche; inoltre il riferimento alle uova è di fatto sottinteso: l’equivalente d’oltremanica si riduce infatti al binomio “golden goose”.

Ritornare il modulo firmato

Ieri pomeriggio ho chiesto di poter iscrivere mia figlia al programma estivo della scuola materna che già frequenta; l’asilo si trova nella parte sud della provincia di Milano, dove risiediamo. Mi hanno sottoposto un modulo da firmare, che ho portato a casa, mi sono letto con calma e ho compilato questa mattina. A colpirmi è stata la frase finale: “ritornare il modulo firmato entro il gg/mm/aaaa”.
Non reagire alle storpiature della propria lingua è sintomo di rassegnazione, uno stato d’animo per nulla positivo, specie quando assume tratti cronici. Non essendo incline a questa condizione, ho dunque riconsegnato il modulo barrando la voce “ritornare” e scrivendovi sopra a penna “restituire”.

Qui in Padania il verbo “ritornare” è solo intransitivo. I dizionari riportano anche un uso transitivo, ma specificano che la sua diffusione è confinata all’Italia meridionale.
Dunque, come è possibile che il modulo finito nelle mie mani riportasse il verbo “ritornare” nel significato improprio di “restituire”? Le spiegazioni possibili sono tre: (a) si tratta di un modulo standard diffuso via internet in Italia meridionale che è stato copiato e riadattato; (b) la persona che ha preparato il modulo è italiana o di origini italiane; (c) la persone che ha preparato il modulo è padana, ma il livello di contaminazione tra Toscano parlato in Padania e Toscano parlato in Italia è tale che il soggetto (magari anche a causa della sua giovane età) non è in grado di distinguere tra i due usi del verbo in questione.
Il caso (a) è poco probabile; anche se qualcuno avesse copiato il modulo avrebbe dovuto riadattarlo, e nel fare ciò quasi certamente si sarebbe reso conto dell’uso extrapadano di quel “ritornare”, dunque lo avrebbe corretto; a meno che il responsabile di questa operazione non fosse italiano o di origini italiane; (b) conoscendo la struttura scolastica questa è l’ipotesi più probabile; (c) casistica teoricamente possibile e particolarmente preoccupante.

Come è noto tra lingua parlata qui in Padania e lingua parlata nella vicina Italia sussistono alcune differenze. La transitività e intransitività di uno stesso verbo è una delle situazioni più tipiche. Il verbo “salutare”, per esempio, qui è transitivo (salutare qualcuno), mentre in Italia (specie nell’Italia meridionale) diventa intransitivo (salutare a qualcuno). Il caso del verbo ritornare, invece, è l’esatto opposto. Ci sono poi differenze nell’uso delle doppie; qui da noi, specie nel parlato, prevale “sopratutto”, mentre in Italia si usa la forma “soprattutto”.

Come risolvere? Una lingua porta con sé un fortissimo carico culturale che a mio parere non può e non deve essere ignorato, né tanto meno deve essere cancellato. Se si immagina che debba esistere una sola lingua allora vi sarà un’autorità superiore che potrà arrogarsi il diritto di stabilire cosa è giusto e cosa no. Ma l’esistenza di una sola forma di Toscano è un dogma, non è un assioma matematico. Se rimuovi un dogma non crolla il mondo, anzi, molto spesso non succede nulla. La mia idea, da persona rispettosa dei popoli quale sono (di “tutti” i popoli) è dunque quella di avere due lingue ufficiali, una parlata nell’area padana e una in quella italiana. Chi sono io per dire che “ritornare” usato nel senso di “restituire” non va bene? Io non voglio che dove sono cresciuto e vivo si usi una lingua che palesemente non è la mia, ma che ciò accada altrove non è certo un problema.

L’Estonia crea (in Lussemburgo) la prima “data embassy” del mondo

Chi conosce la storia recente di questo Paese non si stupirà nemmeno di fronte a una notizia del genere.

Che cos’è un’ambasciata delle informazioni digitali e a cosa serve?
La giornalista britannica Aliide Naylor lo spiega in questo articolo pubblicato poco fa su New Eastern Europe.

Pronti, partenza, via!… in un po’ di lingue

Croato

priprema, pozor, sad!

Nota:
Grazie all’amica Dijana per il contributo.


Danese

klar, parat, start!
på pladserne, færdige, løb!

Nota:
La prima versione è quella di gran lunga più usata.


Estone

tähelepanu, valmis olla, start!

Nota:
Grazie all’amica Marit per il contributo.


Finlandese

paikoillanne, valmiina, nyt!
paikoillenne, valmiina, nyt!
paikoillanne, valmiit, nyt!
paikoillenne, valmiit, nyt!
paikoillanne, valmiina, hep!
paikoillenne, valmiina, hep!
paikoillanne, valmiit, hep!
paikoillenne, valmiit, hep!
än, yy, tee, nyt!

Nota:
L’uso di paikoillanne/paikoillenne e valmiina/valmiit dipende dal caso (nel senso di categoria grammaticale) in cui è costruita la frase.
Nell’ultimo esempio, invece, än, yy e tee sono i nomi delle tre lettere che compongono la parola nyt.


Francese

à vos marques, prêts, partez!


Inglese Americano

ready, set, go!


Inglese Britannico

ready, steady, go!


Lituano

pasiruošti, dėmesio, pirmyn!
pasiruošti, dėmesio, marš!

Nota:
La seconda versione era più utilizzata in passato; oggi prevale la prima.


Rumeno

pe locuri, fiţi gata, start!

Nota:
Grazie all’amico Ciprian per il contributo.


Slovacco

pripraviť sa, pozor, štart!

Nota:
Grazie a Emanuela Cardetta, che chiarisce anche il significato esatto dei tre vocaboli: prepararsi, attenzione, start.


Sloveno

pripravljeni, pozor, zdaj!


Svedese

klara, färdiga, gå!
på era platser, färdiga, gå!

Nota:
La prima versione è quella di gran lunga più usata.


Tedesco

auf die plätze, fertig, los!


Turco

yerlerinize, hazır, başla!


Ungherese

vigyázz, kész, rajt!

Overheated heart head over heels

Il titolo di questo post è estratto dal testo di “Head Over Heels”*, brano contenuto nell’album Balls To The Wall che il gruppo metal tedesco Accept ha pubblicato nel 1983.
Un paio di anni più tardi, mentre frequentavamo la prima liceo, l’amico Gabriele e io ci divertivamo a cantarla prima delle lezioni o durante l’intervallo.
L’esercizio di pronuncia di quelle quattro “h” quasi consecutive è stato uno di quei momenti che ricordo ancora volentieri. Se il mio Inglese ha raggiunto livelli accettabili è anche per via di quel brano.

Nel caso vogliate cimentarvi anche voi ecco il ritornello:

Spurting in the dark head over heels
Overheated heart head over heels
Treating it so hard the spurting feels
Everyday, every night

E quando avrete imparato a far propria la seconda strofa accertatevi che state pronunciando “head over heels” e non “head over hills”, come a molti verrebbe naturale fare.

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* potete ascoltarlo qui

Temperature roventi, giornalista ignorante

Nel corso dell’edizione delle 08:00 del TG5 di oggi, 24 Giugno 2017, minuto 6:14, la giornalista Francesca Cenci si è prodotta nell’espressione “temperature roventi”. È l’ennesimo esempio che testimonia quanto sia scarsa, in questo Paese, la diffusione della cultura scientifica.

La temperatura è ovviamente una caratteristica di un corpo e, come tale, può essere alta o bassa, ma non rovente. A essere roventi, o gelidi, sono invece i corpi.

La festa pagana estone che celebra l’inizio dell’estate

Segnalo questo articolo di Lorenzo Di Stasi e Jessica Valisa apparso oggi su East Journal.

La Lituania in bicicletta, itinerari attraverso il Paese dei laghi

Di Lituania in bicicletta avevo già riferito in questo post dello scorso 26 Maggio 2017 in citavo un articolo di Anna Arcaro apparso su Vera Classe. Ora il blog ilTurista.info pubblica (per mano di Lorenzo Lovato) un nuovo articolo – questo – dedicato al cicloturismo in Lituania. Nella sua struttura il pezzo del blogger imolese è talmente simile al post di Vera Classe che è difficile immaginare una mancanza di connessione tra le due fonti. Tuttavia Lovato fa senza dubbio un lavoro migliore, estendendo i testi e la grafica di supporto e risultando impeccabile nell’uso dell’ortografia lituana.

Recall non significa richiamare al telefono

Negli ultimi giorni ho lavorato a un progetto per l’ottimizzazione di una database contenente diversi tipi di informazioni, tra cui – in particolare – gli esiti delle chiamate verso liste specifiche di clienti.
L’azienda che mi ha commissionato il lavoro ha un gruppo interno di persone incaricate di chiamare i clienti per presentare loro offerte di prodotti e servizi legati al mondo della telefonia oppure per dare supporto e consulenza nella risoluzione di problemi.
Una volta contattato il cliente l’operatore ha il compito di tracciare l’esito della chiamata nel modo più accurato possibile. Ed è qui che mi sono accorto della presenza (tra l’altro molto massiccia) della voce “recall”. Nelle intenzioni degli operatori telefonici e del titolare dell’azienda quel “recall” indicherebbe l’azione di richiamare il cliente. Peccato che in Inglese, quello vero, il verbo recall significa ricordare/ricordarsi oppure ritirare dal mercato un prodotto difettoso. Se vogliamo richiamare una persona al telefono dobbiamo utilizzare il verbo “call back”.
Ho fatto presente la distinzione, ma alla fine hanno deciso di continuare a usare “recall”. Come si dice dalle mie parti: ñük e tarlük!*

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* duri [di comprendonio] e stupidi

Coleottero di emme

In Lituano lo scarabeo stercorario (geotrupes stercorarius) ha un nomignolo non proprio affettuoso; è infatti chiamato šūdvabalis, termine composto da šūdas (merda) e vabalas (coleottero). Il nome ufficiale è invece paprastasis mėšlavabalis.

Lituania: periferia dell’Unione, cuore del Continente

Articolo apparso oggi su Avvenire.

Boost, pronunciato bost

Ultimamente mi è capitato di sentir pronunciare “boost” come “bost” anziché “buːst/bust”*. Ciò che mi ha sorpreso è che in tutti i casi (una mezza dozzina) si è trattato di (1) miei clienti, (2) dell’area di Como/Varese, (3) intorno ai trent’anni, e (4) con istruzione medio-alta (scuola superiore, laurea in economia).

Mi domando se sia solo un caso o se c’è dietro un fenomeno che mi sfugge. Qualcuno ha avuto esperienze analoghe?

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* rispettivamente British e American English

Vindication, falso amico

“Despite so many false statements and lies, total and complete vindication… and WOW, Comey is a leaker!” è il tweet di cui ho parlato nel post precedente.
Questa volta concentrerò la mia attenzione sul termine “vindication”, che – contrariamente a quanto si potrebbe pensare – non significa vendetta. Siamo dunque in presenza di un caso di falso amico.

Un primo significato di vindication è quello di “assoluzione/proscioglimento” (es. the charges are false, and we are sure we will be vindicated in court) ed è anche quello utilizzato da Trump nel suo tweet. Alcuni giornalisti hanno tradotto quel “complete vindication” con “completa discolpa”*, non riuscendo a rendere il vero senso delle parole del presidente USA.
Nel concetto di vindication, infatti, sono presenti tre elementi importanti: (a) il rovesciamento di una certa posizione (es. da colpevolezza a innocenza), (b) il fatto che questo rovesciamento è ottenuto contro il parere di altri o della pubblica opinione, (c) una certa soddisfazione nel veder riconosciute le proprie ragioni.

Ma vindication può significare anche “giustificazione” (es. poverty was a vindication for his thievery) o “prova a sostegno di una certa tesi” (es. several tests have shown a full vindication of Einstein’s theory).

Meno frequentemente si può interpretare vindication nel senso di “the act of defending, maintaining, or insisting on the recognition of one’s rights”. In questo caso “rivendicazione” è la traduzione più appropriata.

Infine esistono anche i significati di “vendetta” e “liberazione”, che sono tuttavia rari e sopratutto desueti.

Come si può vedere, vindication non solo è un caso (probabilmente poco noto) di falso amico, ma per via della sua complessità di significati richiede anche una certa attenzione in fase di traduzione. Spesso una perifrasi può rivelarsi più utile di una traduzione diretta.

Le definizioni e gli esempi di questo post sono stati tratti da diversi dizionari e successivamente riadattati.

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* conseguenza, a mio avviso, di una consultazione troppo frettolosa del sito WordReference.com.

He’s a leaker

“Despite so many false statements and lies, total and complete vindication*… and WOW, Comey is a leaker!”. Questo tweet rilasciato ieri** da Donald Trump sul caso Russiagate è stato ripreso anche da molte testate della stampa italo-padana, attirate in particolar modo da quell’ultimo vocabolo “leaker”.

Le traduzioni usate con maggior frequenza sono state “talpa”, “informatore”, “gola profonda”, “bugiardo”. Di queste le più corrette sono le prime due.
Anche la terza lo è, tuttavia la locuzione “gola profonda” appare oggi un po’ desueta, rimandando a scenari più tipici della guerra fredda.
Non corretto, invece, l’uso di “bugiardo”.

Come definire leaker. Si tratta di persona che fa trapelare (generalmente alla stampa) informazioni riservate***.
In un articolo (Trump Calls Comey a ‘Leaker.’ What Does That Mean?) pubblicato ieri sul New York Times il giornalista Charlie Savage**** dà la seguente definizione di leak: “The word ‘leak’ has no official legal definition. But the term usually refers to the act of providing confidential information to the public in a surreptitious way and without official authorization”.
L’articolo è però ben più interessante perché strutturato come una serie di domande e risposte che mirano a spiegare cosa si può considerare leak (what is a leak?) e cosa no (what is not a leak?), e sopratutto a chiarire se i leak sono o meno illegali (are leaks illegal?). Nello stesso pezzo viene anche proposto un raffronto tra leaking e “whistle-blowing” e spiegato come il secondo possa essere considerato un caso particolare del primo.

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* dedicherò a breve un post a questo caso di falso amico

** 9 Giugno 2017, 12:10 PM

*** i concetti di segretezza e riservatezza sono qui fondamentali; dal momento che Trump è intenzionato ad agire legalmente contro Comey tutto dipenderà dal fatto che le rivelazioni di Comey (tra l’altro mediate da un terzo soggetto) possano essere considerate “(top) secret” o “classified”; in caso contrario i legali di Trump faranno un buco nell’acqua

**** nel momento in cui scrivo questo sito non è accessibile; provando a collegarvisi appare il seguente messaggio: Your access to this site has been limited. Your access to this service has been temporarily limited. Please try again in a few minutes. (HTTP response code 503). Reason: Access from your area has been temporarily limited for security reasons.

Il l’uovo

Ormai mia figlia si diverte a dire “il l’uovo” al posto de “l’uovo”.

Testimony, falso amico

In Inglese “testimony” non significa testimone (che si dice “witness”*), ma testimonianza (nel senso di deposizione giudiziaria) oppure prova/dimostrazione (a sostegno di qualcosa).

Con riferimento alla prima accezione la definizione data dal Cambridge è la seguente: “(an example of) spoken or written statements that something is true, especially those given in a law court” (es. some doubts have been expressed about his testimony).
Con riferimento alla seconda accezione ecco quanto propone il Merriam-Webster: “firsthand authentication of a fact (evidence)” (es. the popularity of diet fads is a testimony to the fact that people want a quick fix for their health and weight problems).

Per i significati secondari di “testimony” si veda sempre il Merriam-Webster (qui).

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* stiamo qui parlando di testimone nel senso di persona che ha assistito a determinati fatti o avvenimenti; in un’accezione del tutto diversa con testimone si può intendere anche il bastoncino che viene passato di mano in mano nelle corsa a staffetta dell’atletica leggera;  in tal caso il termine inglese corrispondente è “baton”

Oh oh, il Parlamento di Londra è rimasto appeso di nuovo!

Negli scorsi giorni la stampa padana e italiana aveva cominciato a parlare di stallo parlamentare quale il più probabile tra gli esiti delle elezioni politiche tenutesi ieri nel Regno Unito. Elezioni che – come è poi accaduto – hanno confermato l’assenza di una maggioranza assoluta*.

Questa particolare situazione è nota come “hung parliament” e dall’inizio del secolo scorso si è verificata altre sei volte**. L’espressione è entrata nell’Inglese britannico da una locuzione simile (hung jury) che è invece propria dell’American English.
Come era già capitato in passato anche questa volta i giornalisti di stanza a sud delle Alpi non hanno resistito a tradurre “hung parliament” con “parlamento appeso”.

Mi ero ripromesso di approfondire l’inadeguatezza di una simile traduzione, ma dopo una breve ricerca mi sono reso conto che ne aveva già parlato Licia Corbolante (Terminologia etc.) in questo post del 2010***, cui vi rimando.
Segnalo invece che la versione in lingua toscana di Wikipedia dedica all’argomento due pagine: “Hung parliament” (sintetica, ma ben fatta e con i giusti riferimenti bibliografici) e “Parlamento appeso” (di cui si può dire l’esatto contrario); quest’ultima è stata tuttavia eliminata**** e ha ora un reindirizzatamento alla precedente.

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* è importante specificare l’aggettivo “assoluta” dal momento che una maggioranza relativa esiste sempre, ma non è sufficiente

** se ne può leggere una ricostruzione storica nell’articolo “A history of hung parliaments in Britain” pubblicato oggi sul Telegraph; chi invece è interessato a capire cosa succede in questi casi può leggere “Here’s what would happen if there is a hung Parliament after the general election“, un articolo apparso qualche giorno fa (e poi riaggiornato) sul Bristol Post

*** si veda anche il post “Ai giornalisti “parlamento appeso” piace proprio!“, sempre del 2010

**** operazione effettuata alle 5:47 di questa mattina, 9 Giugno 2017

Loyal(ty) e honest(y), due falsi amici

Tutto quel che c’è da dire sull’argomento lo ha ben sintetizzato Licia Corbolante in questo articolo pubblicato oggi sul suo blog (si veda anche il rimando a quest’altro post).
L’idea di partire da un recente fatto di cronaca (lo scontro Trump-Comey in relazione al cosidetto Russiagate) è a mio avviso molto efficace perché crea nel lettore una potente azione di ancoraggio, aiutandolo nell’assimilazione del reale significato dei termini loyalty, loyal, honesty e honest.

The Sinking of the Estonia: The CIA Knew

Segnalo la recente uscita di “The Sinking of the Estonia: The CIA Knew”, nuovo libro di Hugh Hammond, un insegnante di Inglese ora in pensione che all’epoca dell’affondamento dell’Estonia era in forze proprio nel Paese baltico. Anzi, come egli stesso ha raccontato, è stata proprio la morte di due dei suoi studenti (che quella notte si trovavano sul traghetto in viaggio da Tallinn a Stoccolma), a spingerlo a pubblicare questo lavoro.

Si tratta di una ricostruzione dichiaratamente romanzata degli avvenimenti del 1994 con il preciso intento di evidenziare i tentativi di insabbiamento operati dalle autorità inquirenti di diversi Paesi (Estonia, Svezia, Finlandia), nonché mettere in luce il ruolo della mafia russa che, infiltrata dal basso nella polizia e nelle istituzioni estoni, era interessata a portare avanti uno dei business più redditizi di sempre: la tratta di giovani ragazze da avviare alla prostituzione.

Geotacchinizzazione d’Europa

Questa mappa mostra i diversi modi con cui è chiamato il tacchino in Europa (e in qualche territorio extra-europeo, come la Turchia).

Killer bambino o infanticida?

In ambito giornalistico negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di molte locuzioni composte da due termini, il primo dei quali è baby (baby pensionati, baby spacciatori, baby prostitute, …).
In prevalenza si tratta di formazioni linguistiche associate a concetti negativi, caratterizzate dall’estensione a individui in giovane o giovanissima età di comportamenti (di scarsa o nulla liceità) tipici degli adulti.
Il sostantivo inglese baby funziona da prefissoide e agisce, modificandone il senso, sul successivo termine di lingua toscana.
Quando invece anche il secondo elemento del binomio proviene dall’Inglese possono nascere casi di falsi anglicismi. L’esempio più rappresentativo è “baby killer”, tra l’altro piuttosto diffuso, che noi interpretiamo nel senso di assassino bambino e che un anglofono tradurrebbe con infanticida. Da notare, infatti, che con baby non ci si riferisce genericamente a un bambino (come mia figlia di cinque anni e mezzo), ma esclusivamente a un neonato.
Sul tema non mi dilungo oltre dal momento che internet offre a riguardo un buon numero di risorse.

EV100 kuumaõhupall

Per le celebrazioni del centesimo anniversario della fondazione della sua repubblica l’Estonia, a partire dal prossimo Luglio, offrirà la possibilità di volare su mongolfiere decorate con il tricolore blu-nero-bianco e la scritta Eesti 100. Qui per approfondimenti.

Scaricare il barile, passare il bottone

L’equivalente inglese del noto detto “fare lo scaricabarire” è “to pass the buck”, la cui definizione è (dizionario Oxford): “[to] shift the responsibility for something to someone else” (es. elected political leaders cannot pass the buck for crisis decisions to any alternative source of authority).
L’origine di questa espressione è da collegarsi al mondo del poker, dove buck indica il “bottone” (cioè il segnaposto) che identifica il giocatore nella posizione del mazziere.

Playback, l’anglicismo che in Inglese non c’è

In ambito musicale, ma con frequenza minore anche in ambito teatrale, quando un artista canta e/o suona su una base preregistrata si parla notoriamente di playback. Un termine di chiara origine inglese che, tuttavia, in Inglese non esiste. O meglio, esiste* ma con un significato diverso. Di fatto siamo di fronte a un (ennesimo caso di) falso anglicismo.

Il Merriam-Webster, per esempio, fornisce la seguente definizione di playback: “an act or instance of reproducing recorded sound or pictures often immediately after recording” or “a recording that is heard or seen again” (es. the band listened to a playback of their first recording).
Altri dizionari (come il Collins, il Cambridge e l’Oxford) danno definizioni molto simili (rispettivamente qui, qui e qui).

Tra playback inglese e playback toscano non esiste dunque alcuna corrispondenza. Quello che noi chiamiamo playback in lingua inglese è reso con “lip sync”** (quando a essere preregistrata è la sola voce) e “finger sync” (quando sono preregistrate le basi strumentali).

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* il termine fa la sua prima comparsa nel 1929

** forma abbreviata di “lip synchronization”; altre forme in uso sono: “lip-sync” e “lip-synch”

Anglicismi. Chi li usa non conosce l’Inglese?

Dopo due lustri e mezzo passati in una multinazionale delle telecomunicazioni (ne sono fuori da quattro anni, per fortuna) mi ero fatto l’idea che la tendenza a infarcire mail e discorsi di anglicismi di ogni sorta fosse inversamente proporzionale alla conoscenza che una persona ha della lingua inglese. Mi sbagliavo. Col tempo mi sono accorto che non solo chi parla e scrive Tuscanglish (impropriamente e orribilmente chiamato Itanglese) ha una scarsa (e spesso imbarazzante) conoscenza dell’Inglese, ma lo stesso vale anche per il Toscano. Insomma, l’ignoranza è doppia.

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