23 giorni da solo con la lituosuocera. Aštuoniolikta diena – Giorno 18

Oggi è stato l’ultimo giorno del mese e con il carico di lavoro che mi è piovuto addosso (ho dovuto persino annullare la lezione con la Tati) mia suocera l’ho vista poco. Quindi tutto bene per forza.

Segnalo solo un paio di avvenimenti.
Il primo è che abbiamo fatto colazione alle 12:03; il secondo è un temporale, tanto intenso quanto breve, che si è verificato intorno alle 14:00, durante il pranzo.
Questo secondo elemento è degno di nota perché mia suocera se ne è uscita con la teoria che in queste occasioni (cioè durante i temporali e, in particolare, in presenza di fulmini) bisogna evitare di parlare al cellulare.
Una vaccata colossale, frutto di una bufala che è circolata su internet nel 2006. Da tre o quattro anni a questa parte, però, mia suocera subisce l’influenza del fratello di mia moglie che, ogni due per tre, se ne esce con una nuova sparata da perfetto complottista. Giusto per dirne una, lo scorso anno mi ha parlato con entusiasmo di Tullio Simoncini; se non lo conoscete è quello secondo cui il cancro è un fungo. Inutile dire che Simoncini è stato radiato dall’Ordine dei Medici, ma questo è il meno: chi, infatti, volesse approfondire gli aspetti giudiziari in cui è incappato il nostro genio incompreso può dare un’occhiata a questa pagina di Wikipedia.

Mi sono invece scordato di citare una cosa accaduta ieri e che potremmo classificare come “nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Chi in questi anni ha seguito le mie avventure in terra lituana sa che, qui in campagna, nel giardino dietro la nostra casetta abbiamo un nido di cicogne. Nonostante la prossimità le cicogne restano però animali che non si lasciano avvicinare dall’uomo. Dunque, nonostante la piacevole abitudine di poterle osservare ogni giorno semplicemente volgendo lo sguardo all’insù, nelle rare occasioni in cui una di loro zampetta a quattro o cinque metri dalla porta di casa si percepisce l’emozione e l’importanza dell’evento. E ieri sera una delle nostre cicogne era proprio qui fuori. Allora mi sono precipitato in camera e ho preso la macchina fotografica per tentare qualche scatto ravvicinato. Ma non appena giunto in cucina (che è da dove obbligatoriamente si passa per uscire) mia suocera mi ha piazzato in mano due piatti di kugelis dicendomi: ecco va, questi portali di là in sala. Tempo perso e, ovviamente, cicogna volata via.

Ah, ieri è anche venuto lo zio Juozas con una borsetta di plastica (di quelle per fare la spesa che da noi hanno abolito da qualche anno) dentro cui c’era un piccolo pesce (a sua detta) appena pescato. Doveva essere per me. Però, visto il non proprio esaltante aspetto dell’esemplare ittico, ho deciso di archiviarlo in frigo senza pensarci troppo. Credo che oggi sia finito tra le fauci della nonna Milda. Comunque, l’importante è che non sia andato sprecato.

Ore la termine: 129

È venuta giù la quercia di Trainiškis

Di questa specie di monumento vegetale ne avevo parlato in questo vecchio post di cinque anni fa. Poi, nel corso delle estati successive, ci ero tornato più volte per fare le classiche foto-ricordo all’interno del tronco cavo.
Così ieri ho pensato di portarci l’amico Daniele che è stato in visita da me. Ma una volta là, l’amara sorpresa: il gigantesco albero, già da tempo malato, ha lasciato questo mondo per sempre e oggi giace rovesciato a terra.
Le cronache lituane ci dicono che il crollo è avvenuto la notte del 5 Ottobre 2016, a causa di un forte vento.
Sono rimaste le insegne turistiche ed è presumibile che ancora per un po’ (sino a quando non ne verrà decisa la rimozione) la vecchia quercia continuerà ad attrarre i (pochi) turisti che si avventurano da queste parti.

23 giorni da solo con la lituosuocera. Septyniolikta diena – Giorno 17

Oggi è stata una giornata un po’ diversa dal solito. Bontà sua, e probabilmente impietosito dalla mia condizione, è venuto a trovarmi l’amico Daniele di Vilnius che, non potendo temporaneamente disporre dell’auto, si è avventurato su uno di quei pulmini che effettuano più volte al giorno il collegamento Vilnius-Švenčionys-Vilnius (durata: 1 ora e 20 minuti). Che poi è stata l’occasione per entrambi di vedere per la prima volta la stazione degli autobus di Švenčionys: praticamente un risucchio indietro nel tempo di una quarantina abbondante di anni (riferiti all’epoca sovietica, mica alla nostra, beninteso). Ma, a loro modo, queste sono cose che hanno il loro fascino e che poi ci si porta piacevolmente nella memoria sino alla fine dei giorni.

E così, complice il clima caldo e la giornata di sole, ci siamo fatti un giro prima a Šventa (la sede del Sirvėtos Regioninis Parkas, che è dove faccio le mie lezioni di Lituano con la Tati), poi a Ignalina, quindi a Trainiškis e infine a Ginučiai. Con chiusura del loop di nuovo a Ignalina (più precisamente nell’adiacente micro-villaggio di Strigailiškis) per un ottimo pranzo al ristorante-šakotificio Romnesa (di cui qui sul blog ho parlato svariate volte).
Cinque ore in buona compagnia e per giunta lontano da mia suocera. Ogni tanto ci vuole!

Comunque sono rientrato alla base verso le 16:40. Caldo all’apice e persino una certa afa. Così mia suocera ha pensato bene di chiedermi se gradivo una scodella di zuppa di cavolo. L’ideale, no? Ovviamente ho rifiutato con gentilezza. Poi, alle 17:00 ha annunciato che era pronto il pranzo (no, non avete capito male: ha detto proprio pranzo). Che il kugelis l’ho già scritto più volte che mi piace però c’è un limite anche per quello.

Bene. Tempo trascorso: 72,46%. Ore residue: 152. Ci avviciniamo alla soglia dei tre quarti. E siamo ancora tutti vivi.

C’era una volta la città di Tochio

Mi chiedevo oggi: chissà se c’è qualcuno che si è divertito a usare una grafia toscanizzata per la città di Tokyo. Un semplice klik su Google e guardate cosa ho scoperto qui.

23 giorni da solo con la lituosuocera. Šešiolikta diena – Giorno 16

Situazione in parte simile a quella dello scorso fine settimana. È venuto di nuovo il fratello di mia moglie e di conseguenza le mie possibilità di scrittura sono tornate a farsi limitate (ne approfitto mentre si sta facendo la doccia).

Questa volta il nostro è venuto senza amici, ma in compenso verso mezzogiorno è apparsa dal nulla la zia Vanda (per chi ha seguito le “puntate” precedenti è la mamma dello zio Miglius).

La zia Vanda è una delle numerose sorelle di mia suocera. Se si escludono i primi trenta secondi di illusoria simpatia è così logorroica e insistente (una questione di famiglia, mi viene da dire) che persino la nonna Milda non la sopporta; non solo non la sopporta, ma gli scorsi anni – più volte e pubblicamente – ha espresso comprensione nei mie confronti, fregandosene bellamente di quel che avrebbe potuto pensare mia suocera.

Anche il rito del pranzo odierno è stato simile a quello dello scorso sabato, ovvero kugelis (con tacchino) consumato tra le 15:30 e le 16:00. Però per la colazione di questa mattina mia suocera si era messa in testa di fare gli spaghetti a mia figlia, che chiaramente si è rifiutata. Spaghetti che poi non sono mica quelli che avete in mente voi. Qui gli spaghetti a colazione li mangiano per davvero, solo che li fanno in modo un po’ diverso; e credo di averlo anche già raccontato lo scorso anno. Cioè, li fanno bollire in pentola (di solito in una quantità d’acqua insufficiente e per un numero di minuti che non corrisponde quasi mai a quello riportato sulla confezione) e poi terminano la cottura in padella con il solito pezzo di burro di dimensioni spropositate e infine sciogliendovi sopra del formaggio a fette.

Invece nel pomeriggio la situazione tra mia suocera e me ha di nuovo rischiato di degenerare. La nonna Milda mi aveva chiesto di accenderle la TV sul primo canale, e così ho fatto. Poi però è sopraggiunta mia suocera che ha premuto il tasto 8 del telecomando. In effetti qui il primo canale è sul tasto 8. Così ho cercato di spiegare a mia suocera che avevo inteso il primo tasto del telecomando e non il canale 1, ma il discorso che ha tirato in piedi è stato di una tale cocciutaggine che ho dovuto lasciar perdere. Non solo non capisce una mazza, ma addirittura si innervosisce e poi ti mette il muso. D’altra parte è colpa mia: inutile parlare con lei quando ha la modalità capra attiva.

La zia Vanda e suo marito Juozas sono poi tornati per cena. Patate e aringa*, che per fortuna a me piacciono molto. I due e mia suocera si sono aperti una bottiglia di vino rosso, che mi domando pescata chissà da dove. Mi sono limitato ad annusarla e secondo me era andata a male. Comunque, si trattava di (a) vino spagnolo, (b) con etichetta in cirillico, (c) contenuto alcolico di 11º (eh già qui potete farvi un’idea di quanto doveva essere scarsa la qualità), e (d) udite udite, proprio il tipo di vino che il prete della zona beve in chiesa durante il rito della comunione. Grazie al cielo avevo birra a sufficienza. Che il vino a casa mia lo bevi solo se è buono, altrimenti ne fai a meno.

177 ore al termine; i due terzi se ne sono andati.

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* l’aringa qui si prepara su un letto di cipolle e pomodori, con un po’ di aneto

Chicken medium

Poco fa ho scoperto che se inseriamo nel traduttore di Google la voce “media del pollo” e scegliamo Inglese come lingua di destinazione si ottiene “chicken medium”.

Papino, ma perché quando ci laviamo i denti poi non li asciughiamo mai?

A cinque anni e mezzo la domanda ha una sua logica.

Papino, quello è l’amico dell’imperatore?

Qui in campagna il nostro vicino è un pubblico ministero (prokuroras). Viene solo il sabato e la domenica e di solito si porta dietro un tizio a cui fa tagliare l’erba. Il tizio questa mattina ha iniziato presto e ci ha svegliato. Vedendolo, e probabilmente non ricordando più la parola procuratore, mia figlia mi ha posto la domanda che trovate nel titolo del post.

23 giorni da solo con la lituosuocera. Penkiolikta diena – Giorno 15

Pare che, arrivati al quindicesimo giorno, tra mia suocera e me si sia instaurata una condizione di moderato equilibrio. Merito anche di mia moglie che, non so come, è riuscita a far capire a sua madre che deve parlarmi di meno; non solo più lentamente e con parole semplici, proprio di meno. Quanto di meno? Il minimo indispensabile.
Ricordo una vecchia pubblicità della compagnia telefonica per cui lavoravo prima ancora che questa diventasse una multinazionale; una coppia di fidanzati che si riconciliava dopo un litigio e il messaggio che diceva: parlando (sottointeso al telefono) si aggiusta quasi tutto. Vero, ma nella vita reale esiste anche la situazione opposta: parlando troppo si finisce quasi sempre per rovinare tutto.

E così oggi, stranamente, non ho elementi extra da segnalare. Anche perché, se mia suocera si comporta bene, la mia “rete di sensori” va in stand-by.
Già, perché mia suocera è anche una che, se osservata, combina (molti) più guai del normale. Ad esempio, ho già detto del suo modo di versare il latte nella tazzina di mia figlia prelevandolo direttamente dal vaso da due litri. Le leggi della fisica sono quelle*: lei si può ostinare quanto vuole, ma così facendo il latte si rovescerà sempre (per la cronaca, nelle ultime cinque sere è successo tutte e cinque le volte). Comunque, per tornare a quello che stavo dicendo, durante queste operazioni di travaso poniamo che – in mia assenza – la quantità di latte che finisce sul tavolo sia x; bene; se però sono presente, come minimo si passa da x a 3x. Di questo si è anche lamentata con mia moglie. Non è che però io mi diverta a osservarla per cattiveria o per farle fare più danni; è che, quando te la trovi davanti e la vedi armeggiare in qualche modo astruso, è praticamente impossibile distogliere lo sguardo o far finta di niente. Che poi, in quel tipo di situazioni uno si sente osservato anche se non lo guardi: basta la presenza.
Il trovarsi in soggezione se osservati è cosa che capita a molti, tuttavia nel caso di mia suocera l’effetto che ne deriva è molto più perturbante della media.

Tempo residuo: 200 ore.

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* sia dato un vaso cilindrico da due litri contenente del latte; immaginatevi un vaso dalle dimensioni standard, di quelli che – per esempio – si utilizzano per le conserve o per i cetrioli (di fatto stiamo parlando di un grosso barattolo). Quando si versa il latte è necessario inclinare il vaso con una certa velocità. Questa non deve essere troppo bassa, altrimenti il liquido colerebbe lungo le pareti esterne, ma nemmeno troppo alta, perché in tal caso il flusso in uscita sarebbe troppo intenso e il liquido, pur finendo nella tazzina, ne esonderebbe. Ora, più il recipiente è pieno più è facile che il liquido coli sulle pareti esterne; dunque, per evitare ciò, l’operazione va compiuta molto rapidamente; ma una maggiore velocità crea un maggior flusso e un flusso elevato dà luogo al fenomeno di esondazione descritto all’inizio. Se avete dei dubbi prendete un recipiente da due litri, riempitelo di acqua, latte, birra, vino o quel che volete fino a mezzo centimetro dall’orlo, e poi provate a travasare il contenuto in una tazza tipo mug. Sfido chiunque a versare il liquido senza rovesciarlo (e se ci riuscite voglio il filmato)

23 giorni da solo con la lituosuocera. Keturiolikta diena – Giorno 14

Fine mese, il carico di lavoro oggi è molto più alto della norma tanto che è mezzanotte passata e sono ancora qui a fare analisi. Però non voglio nemmeno saltare il mio consueto appuntamento quotidiano. Quindi darò brevemente conto di quello che è successo oggi, cioè di quello che è successo extra rispetto allo “standard” (come vedete ho messo le virgolette).

Pranzo; mia suocera prepara i blynai (delle specie di crêpe). Siamo lì che mangiamo* quando a un certo punto ne prende in mano uno, ci infila dentro i pollici ungulati per praticare due buchi e poi lo piazza in faccia a mia figlia a mo’ di maschera. E i blynai, che non sono secchi, in faccia ti aderiscono per davvero. Senza parole.

Ore residue: 224.

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* i blynai di solito si mangiano spalmandoci sopra della marmellata, della panna acida o del burro, ma in teoria ci si può mettere quasi qualsiasi cosa

23 giorni da solo con la lituosuocera. Trylikta diena – Giorno 13

Oggi ero in cucina e notavo il solito mobiletto aperto; nello specifico l’antina di un pensile. Mi sono detto: brava, vai avanti così, continua a non chiudere le cose* che prima o poi ti ci stamperai contro. Trenta secondi dopo, approfittando di una delle numerose pause delle sue telenevolas, è comparsa mia suocera. Non ci crederete ma si è presa una craniata mica da ridere, cioè, non da ridere e basta, ma da rotolarsi per terra.
Come si direbbe a longitudini un po’ più occidentali di dove mi trovo: that made my day!

Utopia pensare che l’episodio possa averle insegnato qualche cosa. Tanto per fare un esempio: ogni sera versa il latte nella tazza prendendolo dal vasetto da due litri e ogni sera lo rovescia sulla tovaglia. Ma a usare un mestolo non ci arriva proprio.

Ah, stasera mia suocera ha impedito a mia figlia di mangiare gli spaghetti (tra l’altro conditi solo con olio di oliva e grana) perché a sua detta appesantiscono lo stomaco e non fanno dormire la notte.

Agony left until the end: 249 hours.

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* ante, cassetti, porte, barattoli, bottiglie

Non c’è “correlazione” tra vaccini e autismo

Ieri, mentre controllavo le notizie sul sito dell’ANSA, mi sono imbattuto nell’ennesimo articolo sull’assenza di “correlazione” tra vaccini e autismo. Volendone sapere di più sono finito qui. Eh già, proprio Repubblica, o meglio, quella fogna di Repubblica.
Può anche darsi che i più trovino il titolo di quel pezzo del tutto corretto e normale; d’altra parte nella cosidetta Italia il livello di conoscenze scientifiche è talmente basso che ormai non ci si stupisce più di nulla.

Leggiamo bene.
Titolo. Cassazione: “Non c’è correlazione tra vaccini e autismo, no al risarcimento”.
Sottotitolo. La decisione sul caso di un bambino il cui genitore chiedeva un risarcimento. Il ministro Lorenzin: dopo la conferma della scienza adesso anche il riconoscimento della giustizia.

Ora, il fatto che tra vaccini e autismo via sia una correlazione è del tutto irrilevante. Quello che non esiste non è la correlazione, ma il nesso di causa ed effetto. E usare i due concetti come se fossero sinonimi è un errore grave. La correlazione, infatti, non implica necessariamente causalità, mentre la causalità implica correlazione, sempre.
Dunque ci può essere correlazione ma non causalità. Gli esempi per spiegare questo concetto sono numerosi e alcuni persino divertenti. Quello che ho usato più volte su questo blog è il seguente (non è mio, ma non ne ricordo l’autore). Esiste una correlazione tra l’addormentarsi vestiti e il risvegliarsi con il mal di testa, ma l’addormentarsi vestiti non causa il risveglio con il mal di testa. Sia l’addormentarsi vestiti che il risvegliarsi con il mal di testa, infatti, dipendono dal fatto che la sera prima vi siete ubriacati.

Passiamo adesso al secondo elemento: “dopo la conferma della scienza adesso anche il riconoscimento della giustizia”. Sembra cioè che la decisione della Cassazione confermi e irrobustisca le tesi della scienza. Puro nonsenso. Quel che pensa la Cassazione è – anche in questo caso – del tutto irrilevante. La Cassazione potrebbe anche stabilire che tra vaccini e autismo vi è un nesso di causalità, ma si tratterebbe comunque di una falsità scientifica.

A proposito del giornalista che ha scritto l’articolo: ma perché nel titolo si usano le virgolette e nel sottotitolo no?

23 giorni da solo con la lituosuocera. Dvylikta diena – Giorno 12

Oggi mia suocera era un po’ incazzosa e parlava in modo abbastanza sgraziato con tutti, anche se con me si è contenuta. Poi verso sera si è un quasi normalizzata.

Poco fa ho fatto un po’ di conti su una cosa che adesso vi racconto. Ieri sera era avanzato del kugelis e così l’ho mangiato io (terzo giorno consecutivo di kugelis). Stavo per metterlo nel micro-onde quando mia suocera mi ha detto che a scaldarlo così non sarebbe venuto buono. Da notare che avevo mangiato lo stesso kugelis riscaldato anche la sera prima e in quell’occasione era stata lei stessa a dirmi di metterlo nel micro-onde. Chissà, magari un giorno capirò.
Comunque mia suocera ha preso una padella, ci ha buttato* dentro del burro e mi ha preparato la cena. Dato che ero in cucina e vedevo quello che stava facendo le ho chiesto con gentilezza di dimezzare il burro. E ho detto “dimezzare” per non urtare la sua archeo-sensibilità.
La quantità da lei utilizzata all’inizio era un parallelepipedo più o meno delle seguenti dimensioni: lunghezza 5 cm, larghezza 5 cm, altezza 4 cm. In pratica un volume di 100 cm3. Se la cosa non vi impressiona a sufficienza sappiate che un comune dado da cucina (di quelli che servono per fare il brodo) ha un volume di circa 11 cm3. Quindi, ragionando sempre in termini di volume, la quantità di burro usata era pari a quella di 9 dadi. Praticamente ciò che vi consiglierebbe ogni medico moderno, no?

Questa sera, poco prima di mettere a letto mia figlia, ho ricevuto un commento da Stefano che mi ha riportato il detto lituano “žuvį, vištą ir moterį reikia imti rankomis” (pesce, pollo e donne** vanno presi con le mani). Allora ho deciso di vedere che effetto faceva dirlo di fronte a mia suocera. Bene, mia suocera ovviamente non ha capito; che infatti era lì che si domandava che senso avesse la parola “žuri” (tu guardi); e nonostante le mie ripetizioni (e quelle della nonna Milda) continuava a non capire. Inutile dire che invece la nonna Milda aveva capito subito.

Uno dei primi giorni avevo accennato alla questione delle telenovelas. Può cascare il mondo ma le sue due telenovelas giornaliere mia suocera non se le perde. La prima si intitola “amžina meilė” (amore eterno***) ed è di produzione turca (a giudicare dalle facce, dagli abiti e dalle architetture credo sia girata nella parte più occidentale di Istanbul); la seconda si intitola “dvi širdys” (due cuori) ed è realizzata e ambientata in India.
Come vi ho già detto, questa roba qui va in onda dalle 13:30 alle 16:30. Tre ore di cui almeno 45/50 minuti se ne vanno in pubblicità (in Lituania la quantità di pubblicità trasmessa in TV è esorbitante se paragonata a quella che, già lamentandoci, ci tocca sorbirci giù in Padania e nelle vicine Italia, Sicilia e Sardegna). Comunque, dato che la TV si trova nella sala da pranzo, che è anche la mia camera da letto e il mio studio, io in quelle ore non posso lavorare. Non che qualcuno me lo impedisca, ma parlare con i clienti via Skype con una telenovela in sottofondo non è esattamente un comportamento professionale. Così di solito ne approfitto per fare gli esercizi della Tati e per schiacciare un pisolino.

Alle 23:00 di questa sera (che qui siamo un’ora avanti rispetto a Milano e a buona parte del resto d’Europa) ho superato la metà del tempo che mi separa dalla conclusione di questa impresa (-273 ore). Però, più che la soddisfazione prevale un senso di tristezza e scoramento. Mi sembra infatti che altri undici giorni così siano davvero pesanti da sopportare.

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* non è che scrivo io verbi a caso: se lo avesse appoggiato avrei scritto appoggiato

** moterį (accusativo di moteris) è al singolare, ma in Toscano suonerebbe male; in Milanese, invece, si potrebbe mantenere il singolare senza alcun problema: pes, pulaster e dona i en de ciapa cui man (pronuncia: pès, pulastér é dòna i én dé tʃapa kui man; gli accenti sono indicati dalle sottolineature)

*** letteralmente: eterno amore

Ad mensum digiti

Oggi mi interrogavo sull’origine dell’espressione “a menadito” e ho scoperto che essa deriva da “ad mensum digiti” (a misura di dito), che è il modo in cui i Latini indicavano una misura di precisione.

23 giorni da solo con la lituosuocera. Vienuolikta diena – Giorno 11

Dopo la litigata di ieri mia suocera si è messa in modalità quiete-dopo-la-tempesta. Mi ha parlato molto di meno e lo ha fatto più lentamente, anche perché ieri sera mia moglie le ha dato una bella strigliata telefonica in questa direzione.

E visto che stasera sono anch’io più tranquillo posso parlare di una delle caratteristiche principali di mia suocera: quella di essere un “attrattore” di danni e pericoli.

Gauss… chi era costui. La curva che prende il nome dal matematico della Bassa Sassonia è talmente famosa che dovrebbe essere nota a chiunque abbia terminato una scuola superiore decente; e se non doveste ricordarvene è questa roba qui. Quello che però è più utile ai nostri fini è una gaussiana con dominio a due dimensioni, perché la sua rappresentazione grafica è tridimensionale (ne potete veder un esempio qui, verso metà pagina).
Non è che voglio fare un post sulle funzioni di densità di probabilità e di statistica in generale, che poi è anche abbastanza il mio pane quotidiano: quello che mi interessa è solo la forma della curva, cioè il fatto che il grafico della gaussiana ha un picco centrale che si attenua man mano che si procede verso la periferia; e tutto quel c’è da sapere è questo.
Proviamo a vedere le cose in questi termini: il centro della curva è dove si trova mia suocera, o meglio, dove si trovano le sue mani; l’altezza della curva, invece, misura la probabilità che mia suocera combini qualche danno*.
Esempio; siamo seduti a tavola; più un oggetto (piatto, bicchiere, posata, bottiglia, accessorio, …) è vicino alle mani di mia suocera e più elevata è la probabilità che l’interferenza tra oggetto e suocera provochi qualche guaio (di solito il rovesciamento dell’oggetto); la situazione di massima probabilità di danno è quando mia suocera ha in mano qualcosa: prima o poi sai già che lo farà cadere; e se non cade è l’eccezione che conferma la regola; e comunque significa che cadrà la volta dopo.

Come ho già detto più volte (nei giorni e negli anni scorsi), mia suocera ha addosso un’iperattività che è raro scorgere in persone di una certa età. Non riesce mai stare ferma un attimo e, anzi, uno dei suoi motti è che “devi sentire che le mani ti bruciano”; che poi uno lo può pensare anche in termini di una versione sarda, questo motto, e supporre che in Toscano standard suonerebbe come “devi sentire che ti bruciano le mani”, nel senso di qualcuno che ‘ste mani te le brucia.
Sospetto da tempo che mia suocera soffra di ADHD (Attention Deficit & Hyperactivity Disorder), solo che ho sempre pensato che questa sindrome colpisse unicamente i bambini. Invece mi sono un po’ documentato e ho scoperto che l’ADHD è presente anche in età avanzata; le pubblicazioni che si occupano di questo problema e coloro che ne soffrono da adulti sono entrambi in aumento.

Un altro aspetto della vicenda è la difficoltà nel gestire le relazioni con l’ambiente circostante, anzi, questa cosa è proprio alla base del comportamento che ho descritto sopra.
Quando compiamo un’azione il nostro cervello non coordina solo i nostri muscoli ma contestualizza i nostri movimenti in relazione a quel che abbiamo intorno. Ciò significa che, nell’eseguire un determinato compito motorio, vengono evitate una serie di situazioni pericolose o inutili; questo perché il nostro cervello, appunto, è in grado di prevedere alcuni eventi e dunque di escluderne l’occorrenza.
Un esempio chiarirà meglio. Siamo sempre seduti a tavola e indossiamo una camicia con le maniche molto larghe e con i bottoni ai polsi slacciati. Vogliamo mettere qualcosa nel piatto della persona di fronte a noi** e in mezzo alla tavola c’è un’insalatiera che strabocca di insalata. Anche se non ce ne rendiamo conto, nel calcolare tutti i possibili movimenti, il nostro cervello ci porterà a escludere quello che consiste nel passare il braccio sopra l’insalatiera perché sa già in anticipo che, così facendo, la nostra manica finirebbe per toccare l’insalata sporcandosi. Eppure mia suocera passa esattamente il braccio sopra l’insalatiera e si sporca la camicia.
Il fatto che, nel muoversi, rovesci sempre qualcosa è proprio perché non è in grado di controllare l’interazione con l’ambiente esterno. Che non è che devi dire che non bisogna stare fermi perché devi sentire le mani che ti bruciano, è che hai un problema.

Esempi come quello sopra ne capitano in continuazione. Ecco l’ultimo di questa sera. Siamo stati, come sempre, a comprare il latte e il formaggio a Nevieriškė. Di ritorno, mia figlia ha voluto bere un po’ di latte e così mia suocera mi ha chiesto di versarglielo in una tazza. Allora ho preso una tazza, ho preso un piccolo mestolo, ho aperto il vasetto (occhio che qui non si dice che i vasetti si aprono, ma devi usare il verbo “svitare”*** altrimenti non capiscono) e ho versato il latte. Mia suocera si è stupita della mia procedura, ma visto che il vasetto di latte da due litri era pieno fino all’orlo non avrei potuto fare altrimenti. Mezzo minuto dopo la nonna Milda ha detto che un po’ di latte lo avrebbe voluto volentieri anche lei, così mi sono offerto di riempirgliene una tazza, ma lei non ha voluto: anche se ha 90 anni la nonna Milda vuole fare tutto da sola, perché non le piace dipendere da nessuno. Però è intervenuta mia suocera e il latte ha voluto versarglielo lei. Allora ho fatto per darle il mestolo ma la sua risposta perentoria è stata “nereikia” (non ce n’è bisogno). Ecco la scena. Vasetto di latte appoggiato sul tavolo, mia suocera lo apre (ops, lo svita), si posiziona davanti allo stesso, busto chinato in avanti, gambe larghe, leggermente piegate, tre movimenti di assestamento degli arti inferiori tipo golfista prima di colpire la pallina con la mazza, respirone, e poi… pronti, via e il latte viene versato nella tazza della nonna Milda con un movimento rapidissimo. Che un movimento così lo fai se devi versare qualcosa dentro una betoniera o in una cisterna, mica in una tazza. E infatti cosa pensate che sia successo? Metà del latte è finito sulla tovaglia. Ora, il fatto è che il cervello di una persona normale lo avrebbe saputo in anticipo quello che sarebbe successo; il cervello di mia suocera invece no.

Se questo post è un po’ meno comico dei precedenti è perché molte delle cose che ho raccontato qui (e sopratutto molte di quelle che non ho raccontato) hanno a che fare con il pericolo, sopratutto nei confronti di mia figlia. Lasciare un coltello appoggiato sul manico con la lama verso l’alto (trovatemi voi un altro dei sette miliardi che siamo che fa così), lasciare un pentolino sul fuoco con il manico che sporge verso l’esterno, lasciare la frusta dell’impastatrice vicino a mia figlia che fa colazione con la spina ancora infilata nella presa, lasciare delle ciabatte elettriche volanti fuori in giardino dove mia figlia gioca con l’acqua sono tutte situazioni che, quando ci penso, mi fanno stare male come solo un padre può stare male.

Ore residue: 296 (ancora un’infinità!).

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* una funzione di densità ha area (o volume, nel caso di dominio bidimensionale) pari a 1, ma qui non ci atteniamo a questa regola; inoltre una gaussiana a dominio bidimensionale è simmetrica nel piano, e anche questa condizione non è necessariamente vera nella rappresentazione che ne faccio in riferimento a mia suocera

** bruttissima abitudine di mia suocera che spessissimo – senza chiederlo – ti mette qualcosa nel tuo piatto se pensa che la sua porzione per lei sia troppa

*** atsukti

Tre civette sul comò

Qualche mese fa mia figlia è tornata a casa dall’asilo e ha recitato la ben nota filastrocca delle tre civette sul comò. Al che mia moglie è rimasta allibita di fronte a un testo che letteralmente parla (a dei bambini) di sesso a quattro tra dei volatili e una ragazza (la figlia del dottore).
In quell’occasione mi sono reso conto che in più di quarant’anni non avevo mai fatto caso al senso di quelle parole. E credo che, come me, ci siano moltissime altre persone.

Ieri ho fatto qualche ricerca in Rete e ho scoperto che su questo tema c’è molto più materiale di quanto pensassi. In buona parte si tratta della solita spazzatura internettiana, che comprende sia chi non sembra avere modi più intelligenti per occupare le proprie giornate sia chi sostiene e diffonde il ben noto campionario di teorie antiscientifiche del complotto (in stile scie chimiche, per capirci). Appartengono a questo secondo gruppo coloro che, ad esempio, pensano che la filastrocca di cui stiamo parlando contenga dei messaggi subliminali. Pura idiozia.

La questione del fare l’amore con la figlia del dottore può essere analizzata anche da un punto di vista logico-anatomico. Chi pensa che siamo di fronte a un caso di zooerastia orgiastica non ha nemmeno tentano un ragionamento minimo. Ora, la perversione con gli animali (che tra l’altro ho scoperto essere molto più antica di quel che normalmente si crede, tanto che vi sono testimonianze di raffigurazioni di vario tipo e di varie epoche) prevede il ricorso ad animali come cavalli, cani, maiali, pecore e simili quando gli stessi sono usati con funzione di partner sessuali, e alcuni tipi di serpenti e pesci quando gli stessi sono invece impiegati quali strumenti di piacere. Ma dei volatili come le civette (e i volatili in generale) proprio non si prestano a nessuna delle due situazioni citate sopra.

Invece vi suggerisco la lettura di questo post. Armatevi di un po’ di pazienza perché è piuttosto lungo, ma i suoi contenuti sono molto ampi, interessanti e ben argomentati. Le quattro conclusioni riportate in fondo sono condivisibili e di buon senso.

23 giorni da solo con la lituosuocera. Dešimta diena – Giorno 10

Devo innanzitutto fare una precisazione riguardo al post di ieri. Leggendolo, una mia amica di blog (la stessa che menzionerò più avanti) ha pensato che si fosse fermata a dormire da noi tutta la ciurma multicolore* di cui avevo parlato ieri, e invece l’unico con cui ho condiviso la camera/sala è stato il fratello di mia moglie (questa amica lo ha chiamato cognato, che infatti è il termine tecnico, ma io non sono bravo con questi nomi di parentele, non li trovo intuitivi, non vanno d’accordo con la mia mente matematica, e quindi li evito).
In effetti il post è stato scritto talmente in velocità da risultare ambiguo, e dunque me ne scuso.

Ieri mia suocera mi ha detto che per pranzo ci sarebbe stato anche lo zio Miglius. Lo zio Miglius non so se è uno zio o un cugino (l’ho detto prima che non sono bravo in queste cose); c’è che è il figlio di una delle sorelle di mia suocera; in ogni caso io lo chiamo zio, e basta. Mi sta simpatico, la cosa è reciproca, e parla persino una forma rudimentale di Inglese.
Alle 16:00 il capobranco mi ha mandato a chiamarlo per dirgli che il kugelis sarebbe stato pronto in trenta minuti. Peccato che allo zio Miglius mia suocera non avesse detto niente di niente, e quindi lui ha rifiutato, sia perché aveva già pranzato, sia perché stava tagliando l’erba del prato e non voleva lasciare il lavoro a metà.
Non contenta, dopo il mio ritorno mia suocera ha deciso che in missione doveva andarci ella medesima, e così ha fatto la figura dell’insistente anche con i suoi parenti, che in realtà la conoscono bene da sempre, e comunque lo zio Miglius non è venuto lo stesso.
Poi mia suocera mi ha detto che però Miglius sarebbe venuto a cena. E infatti non è venuto nemmeno a cena.

Qui in campagna appena fa bel tempo (e in questi giorni è caldo e bello) si mangia in giardino. I pro sono che si sta all’aria aperta, i contro sono il sole battente e le mosche, di giorno, e le zanzare, di sera. Zanzare a nuvole, tra l’altro grandi il doppio di quelle che abbiamo giù nelle terre lombarde, anche se un po’ più lente e più sceme.

Io alla fine ci ho rinunciato a raccontarvi tutto quello che succede qui, che altrimenti dovrei passare la giornata intera al PC, però ci sono cose che non posso tacere.
Per esempio oggi, dopo la colazione delle 11:30 (che la domenica si dorme), lo zio Miglius ha fatto un salto qui da noi e ha portato dei crostacei che ha pescato ieri sera nel laghetto di un’altra sorella di mia suocera che vive qui vicino (che io in quel micro-lago credo di averci fatto anche il bagno qualche anno fa, ma i crostacei sul fondo mica me li ricordavo, bó). In Lituano questo crostaceo si chiama “vėžys” e in Inglese “cancer”, proprio come la malattia, invece in Toscano credo non esista nemmeno un nome comune, cioè un nome non scientifico. Ho fatto qualche ricerca in internet e sono approdato a questa striminzita pagina di Wikipedia. Però le foto che vedete lì c’entrano poco con quello che ci ha portato lo zio Miglius, che d’altra parte di specie e sottospecie di questi granchietti chissà quante ne esistono. Per farvi un’idea, invece, dovete immaginare delle piccole aragoste.
Ora, dopo che Miglius se ne è andato, la bestia alfa (mia suocera) ha voluto mostrare la bestia beta (il vėžys) a mia figlia, che in quel momento era sul letto con me che la stavo pettinando. Allora mia suocera le ha prima sventolato davanti ‘sto cadavere di vėžys e poi, spostati con la solita delicata manata i libri sul mio tavolo-comodino, lo ha appoggiato sgraziatamente di fianco agli stessi; e siccome il vėžys era reduce da un processo di bollitura, intorno a lui si è creata anche una pozza d’acqua.
Lo so, non ci credete. Però questa volta raccogliere delle prove era davvero d’obbligo, così ho fatto una foto al volo col cellulare (che potevo stare anche tranquillo visto che il granchietto è rimasto lì per oltre un’ora) e l’ho mandata a quella mia amica che ho citato all’inizio. E se lei vuole (io il suo nome non lo faccio) può anche confermare con un commento.
L’ho raccontato a mia moglie, ma mi ha detto che per lei non è così sconvolgente e che io sono cresciuto in un ambiente troppo sterile. Be’, in effetti (all’epoca della mia infanzia e anche dopo) da me c’è sempre stata la bizzarra abitudine di non appoggiare i cibi (specie certi cibi) su superfici sporche in luoghi che non siano la cucina e la sala da pranzo. Tipo, quando vado in cascina a prendere il pollo (di quei polli interi a forma di pollo) non è che poi lo metto in camera di mia figlia per farle vedere che forma ha. A mia figlia lo faccio vedere direttamente in cascina o al limite in cucina.

Comunque stasera volevo scrivere molto di più, ma poi ho litigato con mia suocera davvero di brutto. Se l’è presa con me perché dice che ho alzato la voce con lei. Io ho la voce alta, e questo non lo ha ancora capito, ma è vero che le ho risposto in modo seccato dopo l’ennesima interruzione mentre ero al telefono. Che dalle mie parti, nella terre padane, interrompere uno mentre sta parlando con qualcun altro – al telefono o non al telefono – è cosa di grande maleducazione, specie se poi lo fai senza infilarti nel discorso con delle parole o frasi di cortesia (scusa, scusate, …). E, visto che oggi mi ha interrotto svariate volte, stasera la mia risposta, mentre mia figlia e io salutavamo la mamma via Skype, non è stata tra le più accomodanti.

320 ore al termine.

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* chi capisce questa citazione è bravo

Inuccidibile

Mentre cercava di schiacciare una formica, senza riuscirci, mia figlia se ne è uscita con un: papino, lo sai che questa formica è inuccidibile?

23 giorni da solo con la lituosuocera. Devynta diena – Giorno 9

Post brevissimo visto che stasera e stanotte qui in camera (che poi è anche la sala da pranzo) non sarò solo. In mattinata è sopraggiunto il fratello di mia moglie, che si è tirato dietro una coppia di amici con relative figlie al seguito (due). Mia suocera ha dovuto lavorare extra, e per fortuna mi ha rotto un po’ meno del solito. Ma comunque ha rotto lo stesso.

Tipica giornata lituana caratterizzata da un altrettanto tipico disordine alimentare. Non tanto per quello che si è mangiato, quanto per la cultura degli orari dei pasti, o meglio, per la totale assenza di una tale cultura. E infatti si è pranzato alle 16:30 (con il solito kugelis) e cenato verso le 21:00 (šaltibarščiai e poi carpa, spigola e un terzo pesce che non mi ricordo, comunque tutti e tre buoni, che poi lasciamo stare che qui la gente mangia con le mani).

345 ore alla fine.

23 giorni da solo con la lituosuocera. Aštunta diena – Giorno 8

Ieri mi sono dimenticato di dire che a un certo punto mi serviva uno stuzzicadenti, così sono andato su Google Translate e ho trovato che stuzzicadenti (al plurale) si dice “dantų krapštukai” (qualcosa tipo “bastoncini per i denti”). Quindi ho fatto prima il nominativo singolare e poi l’accusativo, e alla fine ho chiesto a mia suocera se ne avesse uno.
Domanda semplice e lineare, direi, di quelle a cui si può solo rispondere con un sì o con un no. Invece mia suocera mi ha fatto a sua volta una domanda, usando ovviamente una parola che non conoscevo, e sopratutto inutillima. Il vocabolo in questione era “mediniai”, cioè – come ho scoperto più tardi – “di legno”. Eh sì, perché – in quel momento – sapere se gli stuzzicadenti li volevo di legno o di plastica era di importanza vitale. Che poi di plastica nemmeno ce li aveva (e nemmeno io li ho mai usati in vita mia).

Una caratteristica di mia suocera è che vive in cucine a geometria variabile. Uso “cucine” al posto di “cucina” perché la cosa vale qui in campagna, nella casa di Vilnius, come (purtroppo) nella nostra a Milano (naturalmente solo quando è presente lei in qualità di uninvited guest).
Cioè, normalmente nei cassetti e negli armadietti gli oggetti hanno un posto fisso, che non è un vezzo recente introdotto dopo il crollo del muro di Berlino, ma un atavico schema mentale di auto-organizzazione che risponde a un’esigenza ben precisa: se una cosa la metti nello stesso posto saprai sempre dove trovarla la volta successiva. Nel caso di mia suocera, invece, questa conquista della specie homo sapiens è ancora di là da venire. E non riguarda solo i su menzionati cassetti e armadietti, ma anche il frigorifero. Se infatti uno, ad esempio, apre il frigo per cercare il burro o il formaggio (o qualunque altra cosa) va a colpo sicuro, non è che deve mettersi lì a fare una ricerca. Invece mia suocera quando apre il frigo si ferma un attimo in contemplazione e, dopo uno sguardo di insieme (di solito tra l’ebete e il perplesso), si lancia in una intensa attività di ravanamento. Che se potessi vi manderei un video perché altrimenti rischiate anche di non credermi.

Oggi a pranzo ha fatto di nuovo i sumuštiniai e, una volta pronti, mi ha chiamato perché la aiutassi a portarli in tavola. Così ha aperto il forno, ha tirato via la tovaglia dalla tavola e con quella ha estratto una teglia che sembrava essere uscita da una fonderia, tanto era alta la temperatura. Qualche anno fa mia moglie le ha portato delle presine, ma sembra che ancora non abbia ben capito come funzionino e sopratutto a cosa servano. Infatti quando la teglia l’ho presa io, afferrandola appunto con le presine, ha esclamato stupita: ah!
Comunque quello che voleva da me è che portassi la teglia arroventata in tavola e che servissi i panini. Chiaro che le ho detto subito di no senza nemmeno pensarci un attimo. Invece sono andato a prendere i piatti dal tavolino della sala (dove tra l’altro era già accomodata mia figlia) e i panini ce li ho messi dentro in cucina, per poi riportare gli stessi piatti, ma pieni, in sala. Niente, anche in questo caso non riesce a capire qual è la sequenza logica delle operazioni. E come sempre il suo sistema è quello che massimizza la probabilità di fare danni, ad esempio di provocare una bella scottatura a qualcuno. Tanto più che quando lei ha in mano qualcosa è del tutto incapace di gestirne l’interazione con l’ambiente circostante.
Al termine del pranzo, poi, ha raccolto i piatti e mi ha passato la pila, visto che – come già sapete – del lavaggio me ne occupo insindacabilmente io. Nel fare ciò –
ça va sans dire – ha fatto cadere il solito paio di posate (che se poi ti atterra un coltello sul piede non è proprio una gran festa).

In mattinata, invece, era finita l’acqua per cucinare, così sono andato a prenderla al pozzo con un paio di secchi, e nel mentre ho anche imparato che in Lituano secchio si dice “kibiras”. Allora sono andato da mia suocera e ho provato a declinarlo. Passando dal nominativo, al genitivo, al dativo mi aveva già interrotto. Io elencavo i casi della prima declinazione al singolare e lei pensava che volessi fare nominativo singolare e plurale. Come sempre non aveva capito una mazza. A differenza della nonna Milda che invece sapeva perfettamente cosa stavo facendo.

Il file Excel che ho messo in piedi per il countdown stasera mi dice che le ore mancanti sono 368 e che il tempo trascorso ha toccato quota 33,33% periodico. Wow, sono a un terzo esatto dalla conclusione dell’impresa.

Panciuchio

Oggi giocavo con mia figlia sulla batutas che abbiamo qui in giardino e lei si divertiva a fare il salto del canguro. A un certo punto non si ricordava più come si dice marsupio e allora ha detto panciuchio.

23 giorni da solo con la lituosuocera. Septinta diena – Giorno 7

Questa mattina ero lì nel letto, già sveglio, ma ancora un po’ pigro per alzarmi. E ogni due per tre mi dicevo: bene, adesso vado in bagno che devo fare pipì. Sono quei momenti che puoi ancora resistere ma sai che il limite si avvicina inesorabile. Poi, come ogni volta – sì perché questa cosa capita praticamente ogni volta – non appena ho messo un mezzo piede giù dal letto ecco che il bagno, fulminea, me lo ha occupato mia suocera. E per fortuna che almeno è veloce.
Il fatto, tra l’altro di una certa rilevanza scientifica, è che non importa in quale momento io faccia per alzarmi dal letto; qualunque sia il momento mia suocera riesce a infilarsi in bagno una frazione di secondo prima di me.

Fatalità sincroniche. Come quando, durante il giorno, magari capita che mi devo cambiare. Cioè, ad esempio togliermi i calzoni lunghi e mettere quelli corti, oppure il viceversa. Mia suocera, che fino a un attimo prima era dall’altra parte del mondo a raccogliere barbabietole e patate nell’orto, compare nella stanza proprio nell’attimo in cui sono biotto biotto.

E sempre a proposito di coincidenze. È il momento di lavare i piatti e allora cerco di raccogliere tutte le stoviglie che vedo in giro e le porto fuori nel lavello che abbiamo in giardino. Poi inizio a lavare. Puntuale come un orologio atomico, tempo un paio di minuti e si presenta mia suocera che magicamente ha trovato un’altra mezza dozzina di piatti e di posate. Li accatasta sopra gli altri (di solito facendo cadere qualcosa) e mi fa un risolino idiota che la strozzerei come un tacchino baltico.
Questa però è una cosa tipica delle donne. Che anche mia moglie ogni tanto fa così. Non con i piatti, perché abbiamo la lavastoviglie, però quando sto per andare giù a portare la spazzatura, cioè vetro, carta, plastica e indifferenziata – che sono quattro sacchetti in due mani – ti senti questa vocina con l’effetto Doppler che ti dice: hey, non dimenticare l’umido, che lo sai che l’umido è la cosa più importante.
Saremmo anche uomini, mica piovre o aracnidi.

Comunque tra ieri e oggi ho passato un po’ di tempo a coniugare una trentina di verbi lituani che mi ha dato da studiare la Tati. E allora, tra una pausa di lavoro e l’altra, sono andato in giardino a fare questi esercizi. Parlavo ad alta voce, o da solo o con mia figlia o con la nonna Milda. Io ero lì a coniugare i verbi e mia suocera si infilava dentro e faceva a gara a dirli prima di me. Cioè, capito, mi precedeva. Ma come, mica sei tu che devi esercitarti, tu devi solo dirmi se faccio giusto o se sbaglio.
E infatti a un certo punto mi ha corretto un verbo. Non ho fatto in tempo a dire la prima persona singolare di “sustoti” (fermarsi), che secondo lei questo verbo come lo coniugavo io era sbagliato, perché non era un verbo della prima, ma della terza. E siccome ero scettico, e lei insisteva, alla fine mi ha detto: oggi chiedi alla Tati. Così ho chiesto alla Tati ed è finita 1-0 per la Tati.

Niente, sono un paio di giorni che mia suocera si comporta quasi normale, che poi normale nel suo caso significa che funziona in PHM, dove PHM è l’acronimo di Proto-Human Mode. Cioè, consueta iperattività, cassetti e mobiletti lasciati semi-aperti, roba che le cade dalle mani, posate tenute come capita, zuppe e bevande sorbite col risucchio, bicchieri riempiti fino all’orlo, coltelli appoggiati sul manico con la lama all’insù, inciampamenti nei tappeti (che qui, poi, ce ne sono pochissimi), e tutto il resto del suo ormai celebre campionario.
Però mia moglie ultimamente l’ha un po’ cazziata per il sale e così adesso mi fa assaggiare le cose e mi chiede se per caso non ne ha messo troppo.

Ah, ieri che stavo cucinando la pasta per mia figlia è riuscita a dirmi che nella pentola avevo messo troppa acqua. Chissà, magari la prossima settimana proverà a dirmi anche come si prepara il risotto alla milanese.

Stavo cercando dei video su come si impugnano correttamente le posate, ma non è che ce ne siano molti. Ad esempio ho trovato questo (che però potevano farlo anche un po’ meglio).
Comunque, quando si prende la forchetta con la mano destra (con la sinistra per i mancini) la posata deve funzionare un po’ come il remo di una barca, e il modo corretto di farlo è quello di tenerla tra l’indice e il medio, e di usare il pollice per dare la rotazione.
Questa cosa che a noi sembra del tutto naturale mia suocera non riesce a farla, però nella sua scala evolutiva ci sta andando vicino. Infatti ha sviluppato un’impugnatura che assomiglia alla precedente, ma non è ancora equivalente.
Quello che fa è alternare la “modalità spada” a quella “simil-remo”, dove – in quest’ultimo caso – anziché tenere la forchetta tra l’indice e il medio la tiene tra il medio e l’anulare.
Se ci provate (in caso non abbiate una posata a portata di mano basta un penna) osserverete che la difficoltà aumenta. Sopratutto noterete che, tenendo la forchetta tra indice e medio, vi sono sufficienti solo queste due dita (oltre al pollice) per compiere tutti i movimenti necessari; viceversa, impugnando la forchetta tra medio e anulare, servono tutte e cinque le dita; questo perché si creano due coppie che funzionano all’unisono: indice e medio, da una parte, e anulare e mignolo dall’altra, che si comportano ciascuna come fossero un solo dito.
Abbiamo dunque la conferma che mia suocera si trova nella già citata fase proto-umana, che comunque è già un bel passo avanti rispetto al precedente stadio pre-umano.

Aggiornamento: -392 ore.

Ad cazzum, ad minchiam

Come sapete non è mia abitudine trattare argomenti di contenuto volgare. Ho però notato che in questi ultimi anni, anche e sopratutto in ambito lavorativo, sono in crescente diffusione locuzioni colorite come “ad cazzum” e “ad minchiam”. Per ora si tratta di espressioni prevalentemente confinate alla lingua parlata (riunioni e conversazioni telefoniche, specie se informali), ma la loro presenza in forma scritta (e-mail) è anch’essa in aumento.

Riflettevo sul fatto che queste costruzioni ricalcano locuzioni latine come ad personam, ad absurdum, ad abundantiam, ad hominem, ad honorem, ad probationem, ecc. Molte di queste sono in uso ancora oggi nei linguaggi specialistici (giuridico, logico, …) e la preposizione “ad” seguita dall’accusativo ci fa capire che siamo in presenza di un complemento di fine.
Invece “ad cazzum” e “ad minchiam” esprimono un concetto diverso, che è quello dell’avverbio di modo.

Quindi è come dire che gli spiritosoni che hanno introdotto questa nuova terminologia lo hanno fatto “ad orecchium”.

Notavo inoltre che se “ad cazzum” ha un preciso corrispondente in Toscano non così si può dire per “ad minchiam”.
Quindi, se A = alla cazzo, B = ad cazzum e C = ad minchiam, si è andati prima da A a B e poi da B a C, ma quello che manca è il passaggio da C a D, perché – che io sappia – l’espressione “a minchia” non esiste (ovviamente qualche Siciliano di passaggio può anche smentirmi).

23 giorni da solo con la lituosuocera. Šešta diena – Giorno 6

Ieri osservavo mia suocera di spalle fuori dal supermercato Maxima di Švenčionys mentre era in piedi davanti al bancomat intenta a prelevare. E mi sono reso conto che aveva la stessa postura di quando è in cucina davanti ai fornelli. Gambe larghe e leggermente piegate, quasi come se fosse pronta per affrontare un pericolo o a lottare contro un avversario. Detta così non rende molto bene, ma vi assicuro che non è un modo molto naturale di stare in piedi.
Questa storia delle gambe divaricate e piegate, poi, fa sì che quando cammina ha delle oscillazioni in senso verticale molto più pronunciate di noi altri umani. Cioè, se – come si fa in alcune animazioni computerizzate – immaginate di cancellare il corpo e sostituire la testa con un puntino luminoso che scorre su uno sfondo nero, vedreste questo puntino muoversi, oltre che in orizzontale, anche su e giù con dei movimenti piuttosto ampi. E così mi sono detto che una come mia suocera io riuscirei a riconoscerla ovunque anche senza vederla in faccia.

Mia suocera se deve comunicarmi un concetto semplice usa tremila parole, e questo ve l’ho già raccontato. Oggi, però, ho capito una cosa. Mia moglie mi ha spiegato che fa così perché se non capisco la prima volta prova a ridirmi quello che voleva dirmi con parole diverse. Il punto è che magari la prima volta qualcosina riesco ad afferrare, ma le successive è quasi sempre buio totale.
Il perché è presto detto: a ogni ripetizione usa vocaboli sempre più difficili e frasi sempre più lunghe e contorte. Un po’ come se uno vi chiede se avete il mal di denti, voi non capite e allora ci riprova con un “non è che magari risenti di un’odontalgia all’arcata superiore sinistra?”.
L’altra giorno, per esempio, mi ha detto qualcosa che conteneva la parola “salotos” (insalata), ma non avendo compreso il senso della frase sono rimasto muto e con uno sguardo inequivocabilmente interrogativo. Allora lei ha ricominciato a parlare ma a quel punto la parola “salotos” non è più ricomparsa.

Anche oggi, comunque, è stata una giornata abbastanza tranquilla, quindi il post lo faccio breve che così riesco a recuperare qualche ora di sonno.

Il primo quarto di avventura, intanto, se ne è quasi andato: 417 ore al termine.

Bidet in taxi

Mi è venuta in mente una cosa. A inizio Luglio, quando siamo andati all’aeroporto di Orio per venire qui in Lituania abbiamo preso un taxi visto che il volo era molto presto di mattina. Il tassista era un tizio della mia età che condivideva la licenza con un altro tizio un lustro più vecchio. Dei due, il tassista che ci ha portato all’aeroporto faceva sempre il turno di giorno e a un certo punto gli ho detto: be’, immagino che al tuo collega della notte capiti un po’ di tutto. La risposta è stata che sui taxi se ne vedono di cotte e di crude anche di giorno. Per esempio pare che non sia così insolito caricare normalissime signore che, credendo di non essere viste, ne approfittando per farsi il bidet con le salviettine umidificate.

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