Il caso ha voluto che, dopo la lettura de “L’Angelo di Neve” di Ragnar Jónasson (di cui ho parlato nel post precedente), mi sia imbattuto in “Almost Blue” (1997) di Carlo Lucarelli. E questo è anche il primo romanzo di Lucarelli che leggo.
Per certi versi si tratta di due lavori antitetici. Jónasson crea una trama molto classica, totalmente realistica, ma scrive con una lentezza e una linearità quasi esasperanti; per contro le vicende di “Almost Blue” sono quasi surreali, tuttavia accompagnate da uno stile narrativo veloce e moderno.
Pare che questo modo di scrivere – asciutto, secco, nervoso, a tratti sincopato – sia tipico di Lucarelli e – se è così – col senno di poi mi fanno sorridere coloro che, lo scorsa estate, dietro l’allora misterioso Arno Saar de “Il Treno per Tallinn” (qui e qui) avevano visto la mano dello scrittore di Parma.
“Almost Blue” è un lavoro del 1997 e in vent’anni immagino che di recensioni ne siano state scritte a centinaia, anzi, a migliaia visto che lo scrittore è tradotto in varie lingue. Quindi lungi da me inserirmi in questo solco. Volutamente, poi, le recensioni non le ho nemmeno lette. Posso però dire che nel complesso questo libro non mi è piaciuto.
Se leggi un libro di fantascienza certe cose te le aspetti, ma le vicende di “Almost Blue” sono ambientate nel mondo reale di una città come Bologna, e allora l’aderenza alla realtà (e alle leggi della fisica) ci deve essere. Invece abbiamo un protagonista (un assassino seriale detto l’Iguana) che dopo ogni omicidio si “reincarna” nell’ultima vittima e con essa si porta dietro le di lui o le di lei impronte digitali. Sì, ma come? Suggestivo certo, ma o lo spieghi o questa cosa non sta in piedi.
La trama, inoltre, pur essendo piuttosto semplice, finisce non di rado per avvilupparsi su sé stessa creando una sgradita sensazione di confusione. E poi, sempre a proposito di trama, c’è il fatto che il perimetro delle vicende è davvero troppo stretto: pochi personaggi, scarsamente caratterizzati (specie dal punto di vista psicologico) che operano in un contesto chiuso, quasi si trovassero in una scatola tagliata fuori dalla realtà del mondo esterno.
Lucarelli, invece, ha lavorato molto e bene sul personaggio di Simone, il ragazzo cieco che aiuterà la poliziotta Grazia a risolvere l’indagine. Lo scrittore ci fa “vedere” il mondo dalla prospettiva di chi vedere non può attraverso un uso sinestetico di suoni, odori e colori.
Gli amanti della musica avranno poi colto i numerosi riferimenti contenuti nel libro. Sia quelli diretti (Chet Baker, Nine Inch Nails, AC/DC, ma anche altri appena accennati come Miles Davis, Coleman Hawkins, Ron Carter), sia quelli nascosti: l’iguana e la nudità rimandano a Iggy Pop. Io però non avrei mai mischiato il calore di Hell’s Bells degli AC/DC alla freddezza dei Nine Inch Nails.
Per restare in ambito, leggendo questo romanzo ho pensato allo stile di scrittura di Lucarelli (che ho descritto sopra come asciutto, secco, nervoso, a tratti sincopato) come a certo techno-trash di fine anni ’80; gruppi come Watchtower, Control Denied, Hades, Deathrow, Tourniquet, Xentrix, Anacrusis, Sadus, Mekong Delta e ovviamente i Death di Chuck Schuldiner. Tutto molto bello, sì, ma dopo un po’ ti stanchi di tutto quel prevalere della ritmica sulla melodia e alla fine metti su un pezzo dei Metallica, dei Queen, dei Led Zeppelin, dei Pink Floyd…
Infine ho trovato molto deludente il finale, perché ti dà quell’idea di conclusione frettolosa che un buon libro non dovrebbe mai sollevare.
Insomma questo “Almost Blue” mi è sembrato un po’ troppo disomogeneo e disorganico, come un dolce a più strati, alcuni dei quali ottimi e altri pessimi. Solo che il dolce uno non lo mangia a strati, ma tutto insieme. E tutto insieme “Almost Blue” non mi è piaciuto.
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