Una domenica all’acquario di Napoli

Ieri mattina ho portato mia figlia all’acquario di Genova a vedere i suoi amati lamantini. Nel corso degli ultimi venticinque anni credo che questa fosse la quarta o la quinta volta che visitavo l’acquario. Ma rispetto alle volte precedenti non è cambiato praticamente nulla: vi è comunque un numero spropositatamente alto di visitatori napoletani, tanto che è difficile comprendere come mai siano così tanti. All’ingresso c’era addirittura un tizio che parlava al telefono con quello che doveva essere un suo parente in procinto di giungere alla stazione ferroviaria di Piazza Principe; il tono era talmente basso che il contenuto della conversazione dev’essere stato udito anche a Savona; diceva il tizio vicino a noi (traduco): ué, attento quando scendi dal treno che in stazione ci stanno i borseggiatori africani, coglione.

A questo punto tanto vale chiamarlo acquario di Napoli – sede distaccata di Genova.

20 teste

Si considerino n persone. Ogni persona effettua 10 lanci consecutivi di una moneta regolare. Affinché ci sia una probabilità del 99,99% che almeno una persona del gruppo ottenga una sequenza di 10 teste consecutive il gruppo deve essere composto da almeno 9.427 individui.
Se i lanci consecutivi sono 20 e si vuole una probabilità del 99,99% che almeno una persona del gruppo ottenga una sequenza di 20 teste consecutive la dimensione del gruppo deve essere compatibile con il numero di abitanti di quali città europee?

Le cinque dj

dj Elfie Thames
dj Emilee Shaft
dj Felisha Teem
dj Letisha Feme
dj Melesa Feith

Chi si nasconde dietro?
Volevate un quiz superdifficile? Eccolo qua.

Suggerimento. A ispirarmi è stata la misteriosa Dasie Flem Jeth, traumatizzata dopo aver letto del primo caso al mondo di autocannibalismo (titolo di alcuni giornali: Jed ate himself).

Il garage sottomarino

Conversazione di questa mattina.

figlia: papà, mi compri un sottomarino?
Nautilus: eh, ma poi dove lo mettiamo?
figlia: in un garage sottomarino ovviamente!

Bambol*

In questi giorni di fine Settembre vado di fretta e purtroppo non ho il tempo che vorrei per scrivere un post con tutti i crismi del caso, quindi perdonate la scarsa fluidità di quanto sotto, una periodazione un po’ sconnessa e poco omogenea, e sopratutto datemi una mano: leggete voi questo articolo.

Ora, possiamo dire veramente e con convinzione che ci sia del buono in questa trovata della Mattel? In piccolissima parte sì. Se per esempio pensiamo all’idea che le femmine debbano avere i capelli necessariamente lunghi e i maschi necessariamente corti siamo di fronte a uno stereotipo di scarsa attualità e utilità. Dopo l’ennesima volta che mia figlia, due o tre anni fa, è tornata dall’asilo ripetendo questo concetto le ho tirato fuori le foto di quando avevo poco più di vent’anni, con i capelli lunghi fino alla cintura e cerchi nelle orecchie più grandi di quelli che oggi usa la mamma. Da lì, prima della favola della buona notte, quasi ogni sera sono passato a farle vedere il video di Mr. Crowley e altri brani celebri del rock degli anni d’oro. E alla fine ha capito.
Ma se si fosse voluto raggiungere questo scopo sarebbe bastato progettare, oltre a quelle classiche, anche una versione di Ken con i capelli lunghi, un Ken metallaro, per capirci.

Però non si è fatto questo e si è andati ben oltre. Le nuove bambole della Mattel presuppongono che siano il bambino e la bambina a definirne il sesso (o genere, come si usa dire oggi). Cosa che non ha alcun senso. Anche perché questo non è il compito di un bambino, che dagli adulti deve apprendere modelli e non caricarsi della responsabilità di crearli, dato che quella non è certo l’età adatta per un compito del genere.
Non è che prendi un bambolotto, gli metti una gonna, una parrucca e le scarpe col tacco e questo passa da maschio a femmina. Siamo umani, mica pesci. I corpi dei maschi e delle femmine sono diversi per una ragione banalissima: è diversa la loro biologia. Non è che se chiami maschio un maschio e femmina una femmina stai discriminando qualcuno. Caso mai è vero il contrario: se vuoi offendere un maschio gli dai dell’effeminato e se vuoi offendere la grazia di una fanciulla le dici che è barbuta o che hai i polpacci da maschio, ecc.
Una bambola che rappresenta una femmina non può essere piatta, senza seno; deve avere fattezze più fini di quelle maschili, piedi più corti, braccia e gambe più affusolate, fianchi più larghi, vita più stretta, ecc.
Se prendi un bambolotto, gli metti una gonna, una parrucca e le scarpe col tacco non ottieni una femmina, ottieni un travestito.
Le barbie e i ken devono essere diversi prima di tutto senza vestiti.
O vogliamo forse dire che quelli della mia generazione, che sono cresciuti con barbie tettute e ken muscolosi, sono oggi più inclini a discriminare le persone del sesso opposto?

Immaginate di essere un Marziano e di poter osservare, a velocità molto aumentata, l’evoluzione della società umana occidentale degli ultimi cinquant’anni e in particolare degli ultimi cinque. Come minimo pensereste che una qualche sostanza inquinante finita nelle acque o nell’aria deve aver portato a un processo di rincoglionimento collettivo e di idiozia al di là di ogni più fervida immaginazione. Non vedo altra spiegazione. Che forse stia andando proprio così?

Al di là di quanto dichiarato ufficialmente ho avuto l’impressione che la Mattel abbia voluto sfruttare il particolare momento caldo per fare crescere il proprio fatturato e il proprio utile, senza una reale convinzione della bontà “rivoluzionaria” di questa loro ideona. Ma sono sicuro che attorno a questo fenomeno c’è chi ci crede per davvero e chi per davvero pensa che bambole di questo tipo siano utili alla formazione, alla crescita, all’equilibrio e alla sanità mentale del bambino. Queste bambole sono invece dannose, come mostruosamente pericolosa è l’idea di estromettere il male dalle favole.
Andiamo avanti con quest’idea dell’eliminazione di ogni diversità – confondendo diversità e discriminazione – e ci troveremo ben presto in un abisso. L’eliminazione della diversità scatenerà una folle corsa a chi si sentirà in diritto di sostenere che lui o lei discrimina meno degli altri, e tutti gli altri saranno suoi nemici; da abbattere.
Fai la guerra alla diversità e questa ti risorgerà contro moltiplicata per dieci alla scegliete voi l’esponente.
Il quadro è talmente chiaro che si fatica a comprendere come non si riesca a vederne l’epilogo.

Dallo scemo del villaggio siamo passati al villaggio globale di una quasi maggioranza di scemi. E quando gli scemi diventano maggioranza abbiamo un problema.

-chiare/-care

cerchiamo (cerchiare/cercare)
marchiamo (marchiare/marcare)
pacchiamo (pacchiare/paccare)
picchiamo (picchiare/piccare1/piccare2)
cricchiamo (cricchiare/criccare)
smacchiamo (smacchiare/smaccare)

Ci si può costruire sopra dei giochi di parole basati sull’ambiguità della prima persona plurale dell’indicativo presente (volendo anche della prima e della seconda persona plurale del congiuntivo presente). Ad esempio, sono un insegnante e dico ai miei alunni: apriamo il libro a pag. x e cerchiamo tutti i triangoli; i bambini devono mettersi alla ricerca dei triangoli o devono fargli un cerchio intorno?

Ma è un nome da rapper!

Ore 7:40, scambio di battute tra mia figlia e me in garage, prima di andare a scuola.

figlia: papà, ma chi era quel signore che hai salutato?
Nautilus: è il nuovo vicino sotto di noi
figlia: e tu sai come si chiama?
Nautilus: certo che lo so
figlia: e come si chiama?
Nautilus: Ario Airoldi
figlia: Ario Airoldi?
Nautilus: sì
figlia: papà, ma sei proprio sicuro?
Nautilus: sì, perché?
figlia: ma è un nome da rapper!

Vado a prendere Sara(h) a nuoto

Frase contenuta in una pubblicità della Škoda trasmessa in questi giorni in radio. Il contesto permette di capire facilmente che quel “a nuoto” equivale a “in piscina”. Senza contesto la frase è ambigua.

Ricordatevene quando toccherà a voi

I fatti li avete letti di sicuro: domenica 15 Settembre 2019 è successo questo.

Il commentatore Luciano Passirani, al termine del suo discorso di lode nei confronti del giocatore interista Romelu Lukaku, si lascia sfuggire una battuta davvero poco felice, di cui si scusa sùbito e anche in seguito. Il conduttore Alfio Musmarra interviene bloccando immediatamente Passirani in modo a mio avviso corretto. E la cosa sembra finire lì.

Si noti che Passirani è persona di 80 anni, dunque involontariamente ancorata a un mondo molto diverso da quello che conosciamo noi, per esempio di chi, come me, ha 30 anni di meno. La sua battuta, infatti, è proprio questo: un lapsus freudiano che riflette quel tipo di mondo; battuta indubbiamente infelice, ma senza intenti razzisti (non a caso è inserita nel contesto di un lungo elogio al giocatore di Anversa, e contestualizzare è sempre importante).

Poi arriva Fabio Ravezzani, il direttore generale del Gruppo Mediapason, che fa un’analisi corretta, ma commette – a mio parere – due grossi errori: il primo è quello di non nominare mai Luciano Passirani, definendolo “questa persona”, cosa che suona come un’inutile umiliazione (anche se probabilmente è stato mosso da un intento puramente protettivo); il secondo è quello di estrometterlo per sempre dalla trasmissione, il che, francamente, è un provvedimento sproporzionato.

Da qui è partita l’orda dei puri, che sui social network (ad esempio su Twitter) hanno appoggiato la decisione di Ravezzani suggerendo a Passirani, con l’eleganza che solitamente li distingue, dove infilarsi quelle dieci banane.

Costoro si ricordino bene di questo episodio perché verrà il giorno in cui potrebbe toccare anche a loro. Forse ben prima di quanto pensino. In questa folle corsa alla ricerca del più puro dei puri emergerà qualcuno che potrà fargliela pagare per cose che oggi nemmeno immaginano. Può darsi che un tweet innocente in cui parleranno di qualcuno che “fuma come un Turco” potrà portare alla chiusura di quell’account. Quando ero piccolo io un bambino figlio di neri veniva chiamato negretto, e nessuno aveva intenti offensivi o razzisti. Gli operatori ecologici si chiamavano spazzini, i non udenti sordi, i non vedenti ciechi, un sindaco donna sindaco ecc. Oggi è cambiato tutto. C’è chi di fronte alle nostre parole pretende di farsi interprete “unico e giusto” delle nostre intenzioni, e ci giudica, e decide se dobbiamo essere messi tra i buoni o i cattivi. Pensateci bene quando, come sempre, tirate fuori la parola fascismo a sproposito.

Non si affitta agli juventini

Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere l’episodio di una signora di Malvaglio (frazione di Robecchetto con Induno), rea di non aver voluto affittare il proprio appartamento a una ragazza XP.

Traggo spunto da questa vicenda per alcune considerazioni di carattere generale.

Prima considerazione. Quello di locazione è un contratto di natura consensuale tra due soggetti: il locatore (il proprietario del bene) e il locatario (chi ne usufruisce per il tempo specificato nel contratto stesso). Se manca il consenso di una delle parti la locazione non può avere luogo. Il proprietario del bene ha tutto il diritto di scegliere l’affittuario che desidera. Nessuna autorità può obbligare un privato cittadino ad affittare i suoi beni a un soggetto inviso alla proprietà. Se il proprietario non gradisce affittare a degli XP – piaccia o non piaccia – ha tutto il diritto di farlo. Così come può decidere di non affittare il proprio appartamento agli juventini o ai sostenitori della medicina ayurvedica.

Seconda considerazione. Ancora una volta si è assistito allo spettacolo pietoso di chi ha finto di scandalizzarsi per qualcosa che conosce benissimo. A molti Lombardi (e non solo) gli XP non piacciono e probabilmente non piaceranno mai. Questa non è una novità o un ritorno al passato: è sempre stato così. Non è qui una questione di cosa sia giusto o sbagliato: è che il far finta di dimenticarsi di certi problemi non è condizione sufficiente a eliminarli.

Terza considerazione. I sentimenti di odio così come quelli di amore, declinati in tutte le loro sfumature, sono parte della natura umana; pensare di eradicarli (come vorrebbe qualcuno) non è nemmeno un bene, anzi, è profondamente pericoloso. Finché la cosa non costituisce reato non si può impedire a un soggetto A di provare avversione per un soggetto B (come non si può impedire ad A di provare amore per B). Non a caso i verbi “amare” e “odiare” non si costruiscono mai all’imperativo.
Potreste mai pensare di obbligare qualcuno ad amare gli juventini? Ovviamente no. Allo stesso modo toglietevi dalla testa l’idea – fascista – di impedire ad alcuni Lombardi di non amare gli XP.

ΑΩ, ΩΑ

Avete due mattoncini base: ΑΩ e ΩΑ. Li giustapponete orizzontalmente secondo un certo ordine in modo da creare una sequenza infinita. Una riga più sotto create una seconda sequenza infinita fatta nel modo seguente: laddove c’è il mattoncino ΑΩ vi sostituite il sub-mattoncino Α, laddove c’è il mattoncino ΩΑ vi sostituite il sub-mattoncino Ω. È possibile fare in modo che le due sequenze siano identiche?

Comunque si dice Hänsel

Un esempio di danno fatto da chi traduce male: sono almeno tre anni che mia figlia non mi crede quando le dico che il protagonista maschile della favola che le sto leggendo si chiama Hänsel e non Hansel. Prima perché la maestra d’asilo ha sempre detto Hansel, adesso che sa leggere, invece, perché nei quattro libri che abbiamo lei vede sempre scritto Hansel.

Bellanova: non c’è il due senza il tre

Ieri sera, in un intervista al TG5 delle 20:00, il ministro Teresa Bellanova ha dichiarato di non curarsi né delle critiche al suo aspetto fisico, né di quelle al suo abbigliamento. Bene, ora che hanno sentito come parla potranno prenderla in giro anche per il suo eloquio da XP.

Falco maschio, falco femmina, falco cucciolo

Nella preparazione del breve post precedente, consultando questa pagina di Wikipedia in Inglese, ho scoperto che…

The traditional term for a male falcon is tercel (British spelling) or tiercel (American spelling), from the Latin tertius (third) because of the belief that only one in three eggs hatched a male bird. Some sources give the etymology as deriving from the fact that a male falcon is about one-third smaller than a female (Old French: tiercelet). A falcon chick, especially one reared for falconry, still in its downy stage, is known as an eyas (sometimes spelled eyass). The word arose by mistaken division of Old French un niais, from Latin presumed nidiscus (nestling) from nidus (nest).

La falce del falco

Falco, forse non tutti lo sanno, deriva dal termine latino “falx” (falce). Ma qual è la falce del falco? Questo è meno chiaro. Forse la forma a falce era riferita agli artigli, forse al becco, forse alle ali; o forse a tutte e tre le cose insieme.

Nemico albero

Vi invito caldamente a leggere questo reportage di Mattia Bernardo Bagnoli.

Non è Samara: è Cugina It

Questa sera il TG5 delle 20:00 ha mandato in onda un servizio sul cosidetto “Samara Challenge”, di cui avrete quasi certamente sentito parlare. Mia figlia ne è rimasta un po’ impressionata, ma poco prima della nanna mia moglie ha risolto tutto dalla distanza in modo brillante, così da tranquillizzarla: la ragazza con i lunghi capelli neri che le coprono il viso? Ma no, è solo Cugina It!